25 Ago Molti si credono Dio, io cerco di rispettare la natura
Intervista all’esponente della Land art e scultrice che all’Aquila ha creato un anfiteatro aperto a tutti nel Parco del Sole accanto a Collemaggio
L’Aquila. «L’opera pubblica deve essere creata affinché la popolazione possa trarne beneficio. All’Aquila ho voluto un’opera per la comunità che sia un tutt’uno con il simbolo di un passato che si rinnova, Collemaggio». Ha idee precise Beverly Pepper riguardo al suo lavoro appena consegnato al Comune e quindi alla città: l’«Amphisculpture», un anfiteatro in pietra bianca e in pietra rossa che si modula sul terreno nel Parco del Sole adiacente alla Basilica di Collemaggio, riaperta dopo i restauri nel dicembre scorso.
L’opera ricorda nella forma un analogo lavoro creato da Beverly Pepper nel parco della Villa del collezionista Giuliano Gori a Celle, presso Pistoia: come una evocazione degli antichi teatri greci con il linguaggio della modernità, con una quinta interrotta da una fessura, lo spazio digrada sul terreno, si affaccia sulla vallata e aderisce al luogo con vista sulle montagne come una seconda pelle.
Nata nel 1922 a Brooklyn, scultrice, nome storico della Land art, l’artista ha voluto inoltre che due sue «Narni Columns», sottili colonne in acciaio alte sei metri donate dall’artista alla Fondazione CarispAq, introducano come totem evocativi il passaggio all’anfiteatro, il quale ha una capienza di 1.800 posti. Ha finanziato l’intero intervento l’Eni grazie a un accordo del 2013 con l’amministrazione comunale.
Infine, l’«Amphisculpture» scaturisce dal progetto di sculture ambientali «Nove artisti per la ricostruzione» ideato in seguito al terremoto del 2009 e coordinato dalla curatrice, storica dell’arte e scrittrice Roberta Semeraro. «Beverly Pepper è un’artista molto sensibile, anche ai luoghi, e molto pratica, coglie il senso dei luoghi, dello spazio e della storia», osserva la studiosa che sull’intero programma ha in via di completamento il volume Ricostruire con l’arte (Progedit, Bari, € 16,00).
Hanno guidato e seguito progetto e lavori l’associazione Ro.Sa.M. di Venezia, la Fondazione Progetti Beverly Pepper, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Aquila e Cratere. Ne parla l’artista stessa.
Nel suo anfiteatro all’Aquila lei riprende colori e motivi dal pavimento e dalla facciata della Basilica di Collemaggio. Perché ritiene necessario questo collegamento visivo con la chiesa, il luogo e, su tutto, con il passato?
Quando arrivai per la prima volta all’Aquila mi dissero che la Basilica di Collemaggio era il monumento aquilano più importante, diciamo il più rappresentativo, e volevo che anche il Parco del Sole avesse degli elementi rappresentativi della città, non tanto per i turisti, ma per la comunità, per i cittadini. Volevo che, nell’immaginario degli aquilani, il teatro diventasse un tutt’uno con la Basilica, con il simbolo della città e con il simbolo di un passato che si rinnova. Quando entrai per la prima volta nella chiesa rimasi incantata dalla facciata ma soprattutto dalla pavimentazione e dal colore della pietra usata, così decisi che il teatro avrebbe avuto quella stessa pietra e quegli stessi colori che per secoli erano stati il simbolo della città per tutta la popolazione. In particolare in un luogo come L’Aquila, le persone si sono trovate di fronte a una grande tragedia che ha coinvolto l’intera popolazione e quando succedono queste tragedie nasce un senso di colpa, pur trattandosi di una calamità naturale, le persone si guardano intorno e si chiedono: perché proprio a me? La chiave di salvezza è nel passato, sentire più di tutto che appartieni a quel posto, che hai una storia lì e che questa storia ti appartiene. È il senso di appartenenza che ci salva e in questo l’artista ha un compito fondamentale nelle opere pubbliche.
Lei desidera che le persone usino e vivano il suo anfiteatro come un luogo familiare. Possiamo dire che la sua arte ha un forte significato sociale? E se lo ha, ciò implica anche un significato politico?
Non sono interessata alla politicizzazione dell’arte. L’opera pubblica invece deve avere una funzione sociale significativa, deve essere creata affinché la popolazione possa trarne beneficio.
L’arte può avere una funzione sociale molto importante ma solo quando l’artista si mette al servizio dello spazio, lo rispetta, non quando vuole dominarlo. Molti artisti quando creano pensano di esser Dio! Io non ho questa sensazione. Sono grata di avere uno spazio, cerco soprattutto di non essere invasiva e di rispettare la sua natura: solo così puoi integrarlo al paesaggio e far sì che la gente del luogo ci si possa riconoscere e possa utilizzarlo nel quotidiano vivere. Ecco, è questa la funzione sociale dell’arte.
Lei sta lavorando anche a un progetto a Todi. Di che cosa si tratta e quando sarà pronto?
Vivo da così tanto tempo in questo meraviglioso posto che, da sempre, ho cercato di dare a Todi una reputazione internazionale. Sarà un parco di sculture, sarà un’attrattiva culturale e turistica importantissima per il territorio, sarà il primo parco monotematico di scultura contemporanea in Umbria! Le numerose sculture (20) che saranno installate nel parco rappresentano tutta la mia carriera artistica e tutti i materiali che ho usato negli anni per le mie creazioni, dal cor-ten alla ghisa, dalla pietra all’acciaio inox. Speriamo di inaugurare nella prossima estate. Nel frattempo a dicembre partirà a Todi un mostra e molti altri eventi legati a questo progetto. Le «Todi Columns», che furono installate nel 1979 nella piazza della città, e che fecero poi il giro del mondo, furono un evento unico per quel tempo e sono rimaste nella memoria della popolazione che ancora, quando mi incontra per strada, mi fa domande su quel momento, su quelle sculture, mi dice «non eravamo pronti, non avevamo capito…». Vorrei dare alla città di Todi una memoria delle sue esperienze, una continuità. Per questa ragione le colonne verranno rifabbricate e installate nuovamente nella piazza dopo quarant’anni.
Da artista che ha creato sculture di rilievo fatte anche di acciaio, quindi dal lavoro dell’uomo, che cosa l’ha spinta verso la Land art che significa confrontarsi con la natura, con colline, montagne, prati?
Il mio lavoro artistico non parte mai da un concetto isolato; il paesaggio, la natura hanno sempre fatto parte del mio lavoro. È il mio concetto di arte. Nemmeno quando creo una scultura in ferro rimane isolata, non vive da sola: vive nella memoria delle sculture che ho creato in precedenza e che creerò in futuro. Ho sempre cercato la continuità e il concetto di Land art unisce e integra questo aspetto della creazione artistica. Basti pensare che il mio primo progetto di Land art fu nel 1976 nel New Jersey, un grandissimo anfiteatro commissionato da una delle più grandi compagnie telefoniche americane, la AT&T.
(Articolo di Stefano Miliani su IL GIORNALE DELL’ARTE.COM dell’08/08/2018)
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